
Da quando nel 1891 Attilio Fumagalli ha creato la prima fabbrica di cravatte, sono passati 130 anni. Fumagalli 1891 celebra oggi un grande traguardo: i suoi primi 130 anni. In questi 130 anni di vita, ha potuto partecipare a tantissimi cambiamenti. L’Italia è diventata un paese moderno, sono cambiati i consumi e i costumi degli italiani, è nata e si è sviluppata l’industria della moda e della pubblicità. L’archivio storico di Fumagalli 1891 è la testimonianza viva e vissuta di come l’azienda abbia saputo partecipare al cambiamento, adattandosi alle novità e al progresso e avendo cura di conservarne la memoria. Questo 130.mo anniversario sarà l’occasione perfetta per intraprendere insieme un affascinante viaggio alla riscoperta del passato ed un occhio sempre attento sul presente ed ancor più sul futuro.

L’edificio che ospita l’azienda e l’archivio di Fumagalli 1891 è stato uno spazio dedicato fino ai primi anni Settanta ad una attività di tinto-stamperia. Ancora oggi su un lato della struttura si possono vedere tante piccole finestre, che lasciavano passare la poca luce necessaria per potersi muovere nelle varie operazioni necessarie alla stampa ed alla tintura.

L’archivio è pieno di oggetti che profumano di antico. Su una libreria è allineata una consistente raccolta di trattati di chimica e tecnica, di enciclopedie della scienza, di saggi sui coloranti artificiali e manuali sul mestiere dello stampatore. Le edizioni sono in lingue diverse e probabilmente hanno fatto molta strada per essere oggi parte della collezione di Fumagalli. In questi libri si conserva la conoscenza tecnica su cui si fonda l’arte della tintura e della stampa su tessuto, per la quale Como è rinomata. Fumagalli è presente da molto tempo sul territorio comasco e ha partecipato e contribuito al suo sviluppo, arricchendo la tradizione secolare nella lavorazione della seta, dalla tessitura alla stampa, dal disegno a mano alla prima stampante digitale ink-jet.

Su alcune mensole sono impilati molti album di disegni di varie dimensioni, figurini, fotografie, dipinti, schizzi, collages. Si intravede, ad esempio, un delicato motivo cachemire tratteggiato a matita. La carta su cui è disegnato è ingiallita e usurata sui bordi. Questo disegno dev’essere passato di mano in mano. C’è un appunto che indica che è stato ristampato su una sciarpa in un’edizione speciale dedicata alla raccolta storica. Potrebbe accadere che una cliente visitando oggi l’archivio, potrebbe riconoscere quel disegno cachemire magari su una sciarpa Fumagalli da poco acquistata. Maybe a client visiting the archives can recognize that cachemire drawing, so similar to the one on the scarf she bought.

In altre nicchie, sugli scaffali e sulle librerie, sono appoggiati rotoli di schede perfo-rate per telai Jacquard, scatolette di inchiostro per timbri, spilli, fili da cucito, graffet-te, spazzole, rocchetti, ganci per tirelle. Ci sono le messe in carta, le carte prova e al-cune “planches” di legno incise, utilizzate per la stampa a blocchi, una delle tecniche più antiche di stampa tessile. Tutto appare sospeso, legato ad un filo, cristallizzato a più epoche passate.

Si possono riconoscere oggetti che appartengono a più periodi, da strumenti del lontano 1850, libri del 1870 passando per tutto il periodo della Belle Époque fino ai più recenti giorni nostri. Da una scatola in un angolo spunta un lembo di una cravatta di seta con il classico motivo a fiorellini all over su sfondo blu. Poco sopra la spranghetta, è cucita l’etichetta con il simbolo di Fumagalli 1891 – Made in Italy.

Distratti dalle meraviglie che pian piano l’archivio porta alla luce, può capitare di non notare un baule impolverato. Aprendolo, si scopre un piccolo tesoro: centinaia e centinaia di scampoli colorati di tessuto cuciti insieme con cura maniacale: erano i cappellotti, i famosi “patron” anche chiamati in inglese “square”. E chissà quanti viaggi ha fatto quella valigia appoggiata lì di fianco. L’agente portava sempre con sé queste valigie cariche di stoffa, ed il suo trasporto non era cosa affatto facile.

Bisogna infatti pensare che il campionario Fumagalli in quegli anni era così vasto che per contenerlo erano necessarie/si utilizzavano ben 60 valigie! E per poter arrivare in negozio era necessario un furgone che potesse contenere tutte e 60 le valigie. Potevano occorrere due ma a volte anche tre giorni perché un cliente potesse/riuscisse a visionare tutti i tessuti per fare la propria scelta. E quello era un giorno davvero speciale… Veniva fatta la selezione delle nuove cravatte, delle vesta-glie, dei foulard, delle sciarpe e dei fazzoletti. In quel periodo, per ogni variante co-lore si ragionava in dozzine e non in singole unità. Un ordine medio infatti poteva andare dalle 1.000 alle 3.000 cravatte.

Le valigie sono impilate ancora oggi all’ingresso degli uffici della sede di Fumagalli e in alcuni casi si continua ad utilizzarle per portare i campionari di Fumagalli in gi-ro per il mondo. Accanto ad una grande finestra che si affaccia sugli edifici e sulle industrie di via Carso, sono impilate cartelle e scatole di schede prodotto, complete di tutti i dati re-lativi al disegno, all’articolo, alle richieste e agli ordini effettuati. I riferimenti agli acquirenti fanno riflettere su come anche la clientela dell’azienda si sia trasformata nell’arco di 130 anni, dal borghese milanese di fin de siècle al gentleman cosmopo-lita di oggi.

Lungo una delle pareti sono stati disposti su più ripiani i campionari delle collezioni passate. Sfogliandone uno datato 1961, si può tornare con la memoria o con l’immaginazione a un pomeriggio qualunque di quell’epoca, in una Milano traffica-ta, caotica, in fermento, che si prepara a diventare capitale dell’industria della moda italiana. Un’Alfa Romeo Giulietta fiammante parcheggia davanti a una vetrina di un negozio di abbigliamento sartoriale. Scende dall’auto un giovane uomo ben vestito, potrebbe assomigliare ad una delle copertine di “Club”, la rivista di quegli anni ‘60

Entra nella boutique ed è molto deciso: vuole una cravatta Fumagalli. Non ci pensa due volte, e sceglie un modello classico, di seta scura, simile a quello indossato da Marcello Mastroianni ne “La Dolce Vita” di Federico Fellini. Poi, prima di uscire, si deve ricordare uno dei tanti foulard stampati su Gold Twill Fumagalli: come può dimenticarsi della sua amata?

È una mattina dei primi anni Cinquanta. Alberto Fumagalli, torna in sede dopo un lungo viaggio di lavoro a San Paolo del Brasile. Quando entra in ufficio, trova sulla scrivania un pacchetto. Non se lo aspettava proprio. Incuriosito, lo prende in mano: non è molto pesante. Sulla carta da pacco timbri postali e francobolli, uno con una veduta di Parigi. Non gli serve leggere il nome del mittente: ha già capito.
Toglie cappello e soprabito. Si siede alla scrivania e distende le gambe per godersi appieno il momento. Cosa gli avrà inviato Émile?

Un libro, anche questa volta. Lo accompagna un biglietto. “Mon ami, ti invio qualcosa di interessante. Un libro sugli indigosoli, che ho trovato per caso ad una bancarella di Saint-Germain-de-Près e ho pensato che potesse interessarti. Ti invio anche qualche “suggerimento di stile” della mia charmante Parigi, in ricordo dei bei tempi andati e con l’augurio che presto tornerai a trovarmi. Con affetto, Émile”. Alberto distoglie un attimo lo sguardo dal cartoncino, ripensando alle passeggiate parigine. Ricorda quando camminavano spensierati per la città, con le mani in tasca, diretti verso un caffé di boulevard Saint-Germain per un appuntamento.

“Recettes et procédés. Les indigosols dans le domaine de l’impression et dans l’article foulard” è una pubblicazione del 1936. Seconda edizione. Alcuni numeri nell’indice sono cerchiati in blu. Nelle pagine ci sono delle correzioni fatte a timbro. Su una pagina dell’appendice un adesivo rosso indica che un colorante “N’est plus fabriqué”. È probabile che, dalla prima edizione, alcune sostanze siano uscite di produzione e l’autore si è preoccupato di aggiornare tutti i riferimenti. Alberto conosce l’importanza degli indigosoli. Il loro utilizzo ha semplificato il processo di applicazione al tessuto e contribuito all’affermazione dei coloranti sintetici nella tintura e nella stampa. “Il libro è il migliore strumento per conservare tutta questa conoscenza tecnica”, riflette.

Torniamo a quella mattina del ’50. In un incarto di velina, Alberto trova alcuni campioni di sete stampate francesi per cravatte, insieme ad un ritaglio di giornale. Tutto è piegato con cura. Sicuramente l’ha confezionato Marceline.
C’è una pagina di “Adam”, la famosa rivista di Parigi: un figurino si appoggia alla scaletta di un Air France. Indossa pantaloni con il risvolto, un doppiopetto di cheviot e guanti di pelle. Dal bavero spunta una sciarpa con un motivo scozzese, che è lo stesso della fodera del cappotto e dei calzini. In testa porta un Fedora, il cappello di feltro a tesa larga. Ad Alberto ricorda subito Rick Blaine in “Casablanca”.
E gli torna in mente quella cena di due anni prima - sembra un secolo - sull’Île de la Cité, quando il suo amico imitava Humphrey Bogart nella scena finale del film.
Alberto sorride con un po’ di malinconia. Con un sospiro, mette da parte il contenuto del pacchetto. Poi guarda l’orologio, si toglie la giacca e comincia la sua giornata di lavoro, una giornata sicuramente “speciale”

Quel libro fa parte oggi della collezione dell’archivio storico di Fumagalli 1891. Le pagine sono un po’ingiallite, ma ci sono ancora le annotazioni a pastello, i timbri e gli adesivi colorati. È tra circa duecento testi di chimica, enciclopedie e manuali sull’arte della tintura e della stampa su tessuto. I volumi sono riposti su due lunghe mensole e gelosamente custoditi